Il Madagascar è uno Stato insulare situato al largo della costa sudorientale dell’Africa. Secondo la teoria della tettonica a placche un tempo quest’isola (attualmente la quarta più grande del mondo) era un tutt’uno con il supercontinente Gondwana. In seguito, circa 150 milioni di anni fa, si sarebbe staccata dall’Africa e, infine, 88 milioni di anni fa dall’India. Questo lunghissimo isolamento, unitamente all’assenza di grandi predatori, sarebbe la ragione di una biodiversità animale e vegetale unica al mondo. Basti pensare che il 90% delle specie animali presenti in Madagascar non esistono in nessun altro luogo della Terra.
Sorprendentemente le prime significative migrazioni umane in Madagascar, prima che dall’Africa, giunsero dal sud-est asiatico (350 A.C – 500 D.C.) e dal medio-oriente (700-800 D.C.) ad opera di popolazioni dedite ai commerci marittimi.
Le colonizzazioni dell’isola a fini agricoli e commerciali videro avvicendarsi nei secoli le principali potenze dei tempi. Prima gli arabi, poi gli inglesi, per finire con i francesi, dai quali l’isola diventò indipendente solo nel 1960. Nell’ultimo cinquantennio il Madagascar non ha praticamente mai conosciuto stabilità politica (ma grande sviluppo demografico, che ne ha quintuplicato la popolazione da 5 a 25 milioni). I primi governi filo-francesi furono rovesciati con l’accusa di esterofilia e immobilismo e rimpiazzati da governi comunisti che allinearono il Paese al blocco sovietico fino agli anni ’80. Dagli anni ’90 ad oggi si sono poi alternati una serie di governi democraticamente eletti, alcuni dei quali accusati però di autoritarismo e corruzione, a brevi regimi instaurati a seguito di colpi di stato. L’attuale governo è in carica dal 2013 a seguito di elezioni presidenziali ritenute regolari e democratiche dagli osservatori internazionali.
Ciononostante, permangono diversi fattori che impediscono alla popolazione malgascia di essere padrona del proprio destino e di prosperare grazie allo sfruttamento di un territorio che è potenzialmente molto ricco.
Il primo fattore è rappresentato dalla presenza di imprese, soprattutto cinesi, che da una decina d’anni investono ingenti capitali nel settore agricolo e minerario (si stima 740 milioni di dollari), ma che si sono assicurate lo sfruttamento di centinaia di migliaia di ettari di terreno pagando ai contadini malgasci prezzi non commisurati al loro valore. L’iniquità di tali operazioni è testimoniata dal fatto che, nonostante quest’immissione di capitali, il tenore di vita della popolazione è ulteriormente calato negli ultimi anni, fino a farne una delle più povere e disagiate del mondo.
L’altro elemento che destabilizza gli equilibri politici e socio-economici è il commercio della vaniglia, molto travagliato da quanto l’industria alimentare, chiamata ad una maggiore responsabilità, è tornata a fare uso in modo massiccio di spezie ed aromi naturali. Questa circostanza, di per sé positiva, ha incrementato il fabbisogno a fronte però dell’impossibilità di innalzare i livelli produttivi. L’80% della vaniglia del mondo, infatti, viene prodotta in Madagascar il cui clima infausto, tuttavia, negli ultimi anni ha causato la distruzione di molti raccolti. La combinazione letale di incremento di domanda e diminuzione dell’offerta ha determinato un innalzamento vertiginoso del prezzo (anche 600 dollari/kg) e originato una serie di speculazioni e tensioni che sono arrivate anche a minare l’ordine pubblico. Da un lato si sono infatti moltiplicati gli episodi di brigantaggio a danno dei contadini che si vedono derubati del raccolto senza essere protetti dalle autorità, dall’altro, per reazione, si è diffusa l’abitudine di raccogliere i baccelli quando non son maturi e di conservarli sottovuoto. Quest’ultima pratica ha causato un crollo della qualità del prodotto ed un ulteriore innalzamento del prezzo di quello lavorato a regola d’arte da baccelli maturi.
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Il più noto animale endemico del Madagascar è il lemure di cui, grazie ad una sconfinata produzione documentaristica e letteraria tutti oggi conoscono le sembianze. Ciò che è meno risaputo è che per oltre cento anni, cioè dalla metà dell’Ottocento fino all’affermazione della teoria della tettonica a placche (1960 circa), il lemure ha dato il nome ad un ipotetico continente sommerso. Gli scienziati del XIX secolo, infatti, a seguito del ritrovamento di fossili di lemuri in Pakistan e alla contemporanea assenza di quegli animali nel continente Africano, ipotizzarono che il vuoto tra Madagascar e India fosse un tempo occupato da un continente, poi sommerso. Continente che chiamarono Lemuria per giustificare l’esistenza di esemplari della stessa specie in zone della Terra infinitamente distanti e separate da ostacoli invalicabili. Con l’introduzione delle teoria della tettonica a placche che ha spiegato, tra le altre cose, come Africa/Madagascar e India fossero un unico blocco, quella della Lemuria è stata accantonata come fantarcheologia. Tuttavia, ancora oggi gli scienziati non riescono a spiegarsi come il lemure, di cui i fossili datano la comparsa a 62 milioni di anni fa abbia potuto giungere in Asia dal Madagascar, o viceversa, quando quest’ultimo si è staccato dall’India 26 milioni di anni prima…